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IL FRATINO NEL DELTA DEL PO: SITUAZIONE E ATTIVITÀ DI SALVAGUARDIA

23/4/2020

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LE BUONE PRATICHE 
Al fine di non danneggiare la nidificazione, si consigliano le seguenti buone pratiche da tenere nelle spiagge di Caleri, Porto Levante, Boccasette, Barricata, e su tutti gli scanni dall’1 marzo al 10 luglio circa:
  • Tenere i cani al guinzaglio;
  • Camminare e sostare lungo la battigia, non verso l’interno (eccetto le aree con ombrelloni fissi o destinate al turismo);
  • Nel caso di individuazione di nidi allontanarsi immediatamente e segnalarne la posizione a Sagittaria;
  • Per le attività primaverili di pulizia delle spiagge: contattare Sagittaria per un preventivo sopralluogo finalizzato all’individuazione di eventuali nidi di Fratino e alla loro messa in sicurezza.​ 
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Le querce del Polesine - Chi è davvero la quercia?

22/4/2020

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di Marco Barbujani
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Via Dune sud - Ph. E. Verza
Nessuna pianta richiama l’idea di forza come sa fare la quercia.
Longeva, anche grazie al suo legno (uno dei più pesanti tra le latifoglie europee), la quercia ci fa venire in mente una potenza e una maestosità inaudite, tanto più grande è l’esemplare che ammiriamo.
Questo le ha riservato un posto su moltissimi stemmi, tra cui anche quello della Repubblica Italiana.
​Ma chi è davvero la quercia?

​Esistono molte specie di querce. Quella che tutti immaginiamo, che vediamo nei film ambientati nell’Europa medievale, quella che si trovava a San Basilio... è la quercia comune, detta anche farnia, e gli scienziati la chiamano Quercus robur.
La farnia formava immensi boschi in diverse pianure europee fino a qualche secolo fa, in compagnia di molte altre specie, tra cui il carpino, i frassini e l’olmo. Riconoscere la foglia di una quercia è facile: di solito ha la forma di una pera rovescia, con il bordo profondamente ondulato (lobato). Se poi la foglia ha un picciolo piccolissimo (diciamo mezzo centimetro) e due piccole orecchiette che lo circondano, allora avete in mano proprio una foglia di farnia!
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Anche il Polesine un tempo ospitava alcuni boschi, e nelle parti meno paludose cresceva anche la farnia. Oggi non ce ne sono più tante, però quando ne incontriamo una è sempre un’esperienza straordinaria. A parte quelle piantate in parchi e giardini, è interessante cercare quelle dei (rari) filari campestri. Ne incontrerete alcune molto belle percorrendo la Strada Provinciale 33 Eridania andando da Bottrighe a Guarda Veneta, oppure tra Gaiba e Ficarolo, ma anche in altre località. Pur essendo un po’ sparse, sono un vero spettacolo in ogni stagione.
Un’altra specie di quercia che si incontra in provincia è la roverella, o Quercus pubescens. Assomiglia molto alla farnia, ma le foglie sono più piccole, hanno dei peli sotto e il picciolo decisamente più lungo. La roverella in natura può sostituire la farnia dove il suolo è poco profondo e più secco: perciò per vederne alcune si possono visitare le dune fossili di Porto Viro.
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Foglia di Roverella - Immagine da web
Infine, sempre nei pochi frammenti di dune fossili vive anche il leccio (Quercus ilex), una quercia con le foglie dai margini spinosi che assomigliano a quelle dell’agrifoglio e non cadono in inverno. Un esemplare particolarmente grande si trova in località Smergoncino, vicino a Cavanella Po.
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Foglia di Leccio - Immagine da web
Anche se oggi queste tre specie di querce sono poco frequenti nella pianura tra Adige e Po, è importante conoscerle: oltre a essere la casa di moltissimi organismi, sono una traccia importante di alcuni degli ambienti originali del Polesine.
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UN PAESAGGIO (QUASI) PERDUTO

16/4/2020

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Canali, margini dei coltivi, capezzagne sommersi da verde prativo o boschivo... risorse vitali per gli uomini,  gli altri animali e gli stessi vegetali. 
L'appello di Eracle Donà per tornare al paesaggio agroforestale. 
Link correlati: 
https://www.youtube.com/watch?v=qUO9WGXj7cA, https://www.youtube.com/watch?v=aHD3G4fXm5o,https://www.youtube.com/watch?v=Q_m_0UPOzuI.
Fino a qualche decina di anni fa, la campagna coltivata padana poteva vantare un aspetto molto più verde e "naturaliforme" di quanto non si possa osservare oggi. Canali, margini dei coltivi e capezzagne risultavano sommersi da una più o meno ampia zona verde prativa o boschiva, utilizzata dall’uomo per far legna e dalle specie animali e vegetali come riparo.
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Nel secondo dopoguerra, la maggiore richiesta di cibo a sostegno di una popolazione in vertiginosa crescita ha portato ad un nuovo modello agricolo largamente meccanizzato.
Queste strutture, vuoi perché ritenute non più utili, intralcianti le lavorazioni, o perché viste come limitanti quantitativamente il raccolto, son state diradate e sempre più frammentate; solo qualche zona improduttiva, difficilmente raggiungibile o protetta dalla legge, rimase verdeggiante. Il territorio, già piatto per sua natura, ha pian piano preso un aspetto ancor più spianato fino a divenire in alcune zone un' infinita distesa mono colturale.
Molti degli animali, che una volta potevano sostentarsi in queste realtà, rimangono vivi solo nei racconti di chi è stato testimone di quell’epoca.

Purtroppo ci si è resi conto solo recentemente dell’importanza di mantenere un ecosistema più sano e ricco possibile; la drastica semplificazione attuata ha minato la stabilità e la diversità delle forme di vita portando ad un sempre più massivo impiego di agenti esogeni per cercare di sostenere un sistema non più autosufficiente. L’ecologia insegna, infatti, come un ambiente sia più resiliente quanto più sia complesso perché confidante in un più ampio bacino di risorse adattative. La semplificazione attuata porta esattamente all’effetto contrario: rende lo scenario fragile, instabile, poco flessibile e meno adattabile.
Il ruolo ecologico di filari ed aree boschive in contesti così antropizzati è quindi ora più che mai fondamentale. Essi fungono da zone di rifugio, riproduzione, supporto per una catena trofica: veri e propri corridoi biologici e fasce ecotonali che mantengono le diverse popolazioni in contatto, assicurando indispensabile flusso genico. Sono uno dei fattori decisivi per la presenza di una relativa varietà animale e vegetale, un luogo ove il mondo naturale possa essere libero di evolvere senza disturbi antropici diretti.
I vantaggi che derivano dal mantenere un territorio più green possibile giova anche alla salute dell’uomo, in maniera diretta.
Abbiamo perduto una biodiversità funzionale, una realtà armoniosa da cui ognuno potrebbe trarre giovamento.
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L’appello è dunque quello di tornare a ricreare certi ambienti al fine di godere degli innumerevoli servizi ecosistemici offerti.
La fasce tampone vegetate rallentano il flusso d’acqua superficiale e ne favoriscono l’infiltrazione agendo come delle vere e proprie aree di fitodepurazione che migliorano la qualità e aumentano la quantità idrica stoccabile in falda depurando e nutrendo i suoli. 
Migliora inoltre la qualità dell’aria, attraverso la fissazione di CO2 e nel contempo si riduce l’inquinamento acustico e si aumenta l’albedo.
Diversi studi sembrano confermare come piantumazioni, eseguite in contesti ecologicamente più evoluti e complessi, siano meno vulnerabili ai parassiti rispetto al controllo in contesti degradati per l’assenza di antagonisti naturali. Non meno rilevanti sono i risultati che si stanno ottenendo in aziende agricole sperimentali che vedono aumentare la produttività grazie ad una rotazione colturale su suoli sottratti all’aratura, lasciati a prato erboso, perenne azotofissatore, il tutto accostato a fasce alberate. Questi ultimi aspetti sono cruciali perché comportano la diminuzione della dipendenza dai prodotti di sintesi e abbattono i costi di manutenzione. Aziende così virtuose hanno per di più la possibilità di accedere a finanziamenti dall’Unione Europea. 
Attuando un’implementazione delle aree verdi si concreta poi un vero e proprio miglioramento paesaggistico che, se sapientemente pianificato, potrà generare nuovi introiti. Si pensi ad esempio ad opere ricreative annesse, come percorsi ciclo-pedonali che interconnettono il territorio, pannelli informativi e centri visite da destinare ad un turismo ecosostenibile, in grado di sensibilizzare alle tematiche ambientali. I cittadini potranno vantare un territorio più bello, salubre, ricco, e adottare uno stile di vita più sano, con la possibilità di fare attività sportiva outdoor, di poter raggiungere i luoghi limitrofi in maniera più eco-friendly, nonché di poter godere di una ritrovata natura fuoriporta.
Una realtà rurale può quindi ampliare la propria offerta elargendo servizi diversificati alla comunità secondo un modello ecosostenibile, d’avanguardia ed economicamente proficuo che incentiverà il settore turistico e gli acquisti “kilometro 0”.

​Sembra, dunque, che ritornare ad un modello agroforestale, possa essere un punto di partenza per ripristinare e dare valore aggiunto ad un paesaggio, alleviare i suoli dal sovrasfruttamento, agire nel rispetto dell’ambiente avendone un diretto ritorno economico, salutare e sociale.
Si potrebbe ricreare un piccolo grande tesoro…per il futuro di tutti!

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Una specie “extracomunitaria” con permesso di soggiorno: la robinia

12/4/2020

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di Marco Boscaro
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​Ampiamente diffusa in tutto il Polesine, può essere un problema, ma anche una vera risorsa.
La Robinia (Robinia pseudoacacia) è un albero ampiamente presente in tutto il Polesine ed è anche una tra le specie arboree più conosciute tra le popolazioni locali in virtù dei suoi molteplici utilizzi. La Robinia in ogni modo è una specie non autoctona del Polesine, essa, infatti, è originaria dell’America da dove fu introdotta in Europa per la prima volta nel 1601 dal botanico francese dal quale prese il nome, ovvero Jean Robin.
La Robinia è detta anche “falsa acacia” oppure “acacìa” proprio grazie alla presenza di spine, sempre in coppia, alla base di ciascuna foglia, ricordando quindi specie appartenenti al genere Acacia. Le foglie sono composte imparipennate e vanno a formare una chioma molto leggera di colore verde chiaro che lascia filtrare grande abbondanza di luce e di forma arrotondata. Può raggiungere altezze di 30 m e 60 cm di diametro, anche se in bosco raramente si superano diametri di 40-50 cm. La robinia è una specie termofila che non sopporta le basse temperature e che è in grado di fissare l’azoto atmosferico (azotofissatrice) come la maggior parte delle leguminose cui appartiene.
Oggi la Robinia è ampiamente diffusa in tutto il Polesine, e la si può trovare dalle radure delle pinete litoranee alla sommità della scarpate stradali e, o ferroviarie, dell’entroterra;  essa è, infatti, una specie eliofila che appunto ricerca la luce in modo assiduo. Essa è, in particolar modo, difficile da eradicare ed ha una capacità di diffusione elevatissima. Per tale ragione in alcune aree protette, come il Delta del Po, la sua presenza può essere un problema.
In ogni modo, la Robinia, che per alcune zone può essere considerata come un ospite indesiderato, può, d’altro canto, essere in altre aree fonte di interessanti utilizzi da parte delle popolazioni. Di questa pianta, infatti, non si butta via nulla! E se ne fanno i più disparati usi. I fiori sono commestibili e possono essere fritti e da essi si produce un miele ottimo per qualità poiché il “miele d’acacia” è un miele molto chiaro, liquido e molto dolce anche se ha il difetto di cristallizzare molto velocemente. Ottimo prodotto locale è, infatti, “il” miele del Delta del Po. Il legno è ampiamente utilizzato come legna da ardere poiché è in grado di bruciare ancora verde. Inoltre, il suo legno è molto duro e resistente agli agenti di alterazione esterni e alla immersione in acqua salata o dolce in quanto ricco di tannini, motivo per cui può essere usato nella realizzazione delle briccole.
Esotica o meno la Robinia, pur rimanendo una specie problematica in alcune aree protette deltizie, ormai può essere considerata come una specie ampiamente diffusa e altrettanto inserita nel contesto rurale polesano dove la sua diffusione è, in realtà, limitata e contenuta dall’intensa attività agricola che, appunto, ne confina la presenza quasi esclusivamente lungo i fossi e o lungo i pochi lembi di territorio non idonei alla coltivazione. 

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DELTA DEL PO: conoscerlo e amarlo per fotografarlo!

10/4/2020

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In attesa di tornarci,  Luigino Rosa porta la sua esperienza sul campo, con Sagittaria.
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Garzetta - Ph. L. Rosa
 

​Costanza e pazienza sono le doti che non devono mai mancare a un fotografo naturalista.

Fotografo principalmente avifauna, e il Delta polesano è il mio orizzonte, grazie a Sagittaria, e a Emiliano che me ne ha fatto conoscere anche gli angoli più remoti.
Per fotografare i selvatici del Delta bisogna per prima cosa conoscere bene il territorio, le valli, le lagune, la campagna.
Bisogna girare e girare, in questi ambienti, e guardare, osservare, abituarsi a vedere dove possono essere le nostre “prede”.
Si deve imparare dove avere la possibilità di trovare … il Falco, l’Airone, il Fenicottero ...
Nei campi coltivati sarà difficile che io veda i Fenicotteri rosa pascolare, però potrò trovarvi il Fagiano e anche...la Lepre…
Nelle lagune, invece, dove l’acqua bassa permette loro di alimentarsi frugando nel limo, troverò i limicoli.  
Certi uccelli si trovano solo dalla primavera e all’autunno, altri sono stanziali. Airone cenerino, Garzetta, Airone bianco maggiore, da qualche anno anche l’Ibis sacro, frequentano le risaie.
Naturalmente serve una reflex o una buona mirrorless, corredate da un tele obiettivo. Lungo quanto? I millimetri non bastano mai, si è sempre corti. Come minimo lenti da 400 mm, ma anche 500, 600 e più, per la difficoltà di avvicinare i soggetti spesso molto diffidenti.
Quali aree del nostro Delta? La Sacca di Scardovari offre ambienti di tutti i tipi, in tutta la sua estensione.
Le Valli di Rosolina, dove facilmente si possono trovare i Fenicotteri, gli Svassi, sia il piccolo, sia il maggiore, e tanto altro. Osservando con attenzione le sorprese non mancheranno. 

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Tipica delle barene lagunari dell'Alto Adriatico: SALICORNIA!

8/4/2020

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Salicornia veneta (Pign. et Lausi), annuale, dall’ aspetto erbaceo, alta tra i 30 e 50 cm



In questa stagione, se non possiamo raccoglierne i rametti succulenti (ATTENZIONE: può essere protetta!), la possiamo trovare al mercato del pesce. 
Con il termine “salicornia” si tende ad identificare un gruppo tassonomico di specie vegetali molto simili per morfologia, che, però, presentano alcune differenze (piante annuali o piante perenni che possono presentare lignificazione). Quando ci troviamo di fronte ad una specie indicata con quel nome è consigliabile fare attenzione: vi possono essere esemplari protetti! Le Salicornie, come dice il nome, contengono molti sali tra i quali quelli di iodio e di bromo: per questo i loro succhi nel fornire iodio agli ipotiroidei avrebbero anche effetti calmanti. La loro attività antiscorbutica, per il contenuto di vitamina C, era conosciuta dai Vichinghi, che le portavano con loro nelle lunghe navigazioni. Hanno poi la caratteristica di colorare di rosso le coste a fine estate/inizio autunno. (Valerio Snichelotto)

 Sono utilizzate tradizionalmente in cucina, in particolare la specie Arthrocnemum macrostachyum, chiamata comunemente sarcocornia o salicornia glauca o in dialetto Roscani – Saline. (Valerio Snichelotto)
 
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"Arthrocnemum macrostachyum" (Moric.) K. Koch, aspetto arbustivo con lignificazione di alcune parti, alta tra i 30 cm e il metro, fiorisce tra agosto e fine settembre
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QUALITA' DELL'AMBIENTE - Un indicatore: l'orchidea selvatica!

7/4/2020

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< Orchys morio >



Al giorno d’oggi trovare angoli di paradiso è ancora possibile, basta limitare l’attività antropica, il degrado dei litorali e l’uso eccessivo dei diserbanti e fungicidi.

 Le orchidee lo dimostrano………
(Enrico Vicentini)
 Durante il periodo primaverile sulle dune sabbiose del Delta del Po fioriscono diverse varietà di orchidee selvatiche. In particolare quelle del genere Ophrys ed Orchis, alte circa 30 cm, bulbose, la cui impollinazione è assicurata dai maschi di particolari insetti, attratti dal fiore che imita, anche nell’odore, le rispettive femmine. Per potersi sviluppare hanno bisogno inoltre di essere infettate da un particolare fungo sotterraneo che, grazie al suo micelio, concorre all’approvvigionamento di acqua e sostanze minerali utili alla pianta. La crescita di molte specie di orchidee è molto lenta e possono trascorrere anche alcune decine di anni prima della fioritura.
Ecco dunque che l’intera famiglia delle Orchidaceae è inclusa nelle liste rosse di protezione a livello mondiale (CITES), e nelle liste rosse nazionali ed internazionali a causa della loro rarità, dell’endemismo, ed anche del prelievo indiscriminato.
Per queste peculiari caratteristiche, in assenza di attività ecocompatibili le orchidee diventano fortemente a rischio scomparsa.
​Un habitat dove queste meraviglie possono crescere indisturbate è sinonimo di ambiente sano, con caratteristiche chimico-fisiche ideali per lo sviluppo dei funghi simbionti, con la presenza di insetti pronubi fondamentali per l’impollinazione di tutti i fiori. (Enrico Vicentini)
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INTEGRITA’ DEGLI HABITAT RIPRODUTTIVI A PORTO CALERI: ce lo dice il Pelobate padano.

4/4/2020

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Tra marzo e aprile ne avviene la riproduzione, ma è a rischio di estinzione.
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Da Arianna

Il Pelobate fosco italiano o Pelobate padano (Pelobates fuscus insubricus)- ci ricorda Arianna -  è un anfibio endemico della Pianura Padana. Esso è stato riscoperto presso il Giardino Botanico di Porto Caleri (Rosolina) solo nel 2005; studi successivi hanno permesso il ritrovamento anche nella Località di Porto Fossone.
Il suo habitat comprende ambienti naturali e seminaturali con buona copertura arborea, substrato sabbioso e lettiera organica abbondante.
Questa specie di piccole dimensioni (6-8 cm di lunghezza da adulto), ha abitudini notturne e trascorre la maggior parte della sua esistenza interrato a una profondità del terreno che può superare i 50 cm ed è pertanto di difficile rinvenimento.
Presso il Giardino Botanico di Porto Caleri si riproduce all’interno di depressioni umide infradunali; la migrazione verso i punti di riproduzione avviene tra marzo e aprile in coincidenza con le piogge primaverili.
Il Pelobate fosco è uno degli anfibi italiani a maggior rischio di estinzione ed è pertanto tutelato a livello comunitario dalla direttiva di Berna (allegato II) e come specie prioritaria dalla Direttiva Habitat (allegato II e IV).
Le principali cause della sua rarefazione sono l’urbanizzazione, l’introduzione di specie aliene e l’inquinamento delle zone umide.
La sua presenza a Porto Caleri dunque è possibile grazie alle condizioni di integrità degli habitat riproduttivi, ma una possibile minaccia potrebbe essere l’alterazione della salinità all’interno delle pozze umide d’acqua all’interno delle quali si riproduce.

Grazie ad Arianna!

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... e lui esce allo scoperto...

3/4/2020

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Il TASSO : in Polesine è specie protetta e in aumento.
Elusivo mammifero del nostro Polesine, il TASSO, nei mesi di marzo e aprile, “esce allo scoperto”.
E' un mustelide (ovvero parente di Furetti e Faine), di grandi dimensioni, dal manto grigio, bianco e nero.
Solitamente difficile da incontrare, in quanto notturno, è favorito in questo periodo da una minore presenza antropica.
Più spesso, purtroppo, può essere trovato morto in strada, travolto dalle auto.
Onnivoro, è dotato di potenti unghie con le quali scava tane nel terreno.


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Le specie coloniali nidificanti (Threskiornithidae, Ardeidae, Phalacrocoracidae) in provincia di Rovigo anni 2012-19

2/4/2020

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...vai alla relazione...
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